5.2. I poteri istruttori, l'accertamento, le sanzioni, gli interessi e la riscossione coattiva

   

Circa l’attività di controllo, i commi da 693 a 701 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 ripropongono le medesime regole stabilite anche per gli altri tributi comunali.

In particolare è previsto che ai fini della verifica del corretto assolvimento degli obblighi tributari, il funzionario responsabile può inviare questionari ai contribuenti, richiedere dati e notizie ad uffici pubblici ovvero ad enti di gestione di servizi pubblici, in esenzione da spese e diritti, e disporre l’accesso ai locali ed alle aree assoggettabili al tributo, mediante personale debitamente autorizzato e con preavviso di almeno 7 giorni. In caso di mancata collaborazione del contribuente od altro impedimento alla diretta rilevazione, l’accertamento può essere effettuato in base a presunzioni semplici di cui all’art. 2729 del codice civile (gravi, precise e concordanti).

Ciò posto, tuttavia, gli atti, i documenti e le informazioni richieste non devono già essere nella disponibilità della pubblica amministrazione; il quarto comma dell’art. 6 della legge 27 luglio 2000, n. 212 dispone, infatti, che: “Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell’articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d’ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa”.

In caso di omesso o insufficiente versamento risultanti dalla dichiarazione, si applica l’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (sanzione del 30%).

Per le contestazioni delle violazioni con provvedimenti non divenuti definitivi alla data del 31 dicembre 2015, in ipotesi di versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 90 giorni, la predetta sanzione è ridotta al 15%. Resta fermo che per ritardi non superiori a 15 giorni, le predette misure sono ridotte ad 1/15 per ciascun giorno di ritardo).

In caso di omessa presentazione della dichiarazione, si applica la sanzione dal 100% al 200% del tributo non versato, con un minimo di € 50,00 (Per le contestazioni delle violazioni con provvedimenti non divenuti definitivi alla data del 31 dicembre 2015, in ipotesi di presentazione della dichiarazione con un ritardo non superiore a 30 giorni, la predetta sanzione è ridotta del 50%).

In caso di infedele dichiarazione, si applica la sanzione dal 50% al 100% del tributo non versato, con un minimo di € 50,00.

In caso di mancata, incompleta o infedele risposta al questionario, entro il termine di 60 giorni dalla notifica dello stesso, si applica la sanzione da € 100,00 ad € 500,00.

Le sanzioni per omessa o infedele presentazione della dichiarazione e per mancata, incompleta o infedele risposta al questionario sono ridotte ad 1/3 se, entro il termine per la proposizione del ricorso, interviene acquiescenza del contribuente, con pagamento del tributo, se dovuto, della sanzione e degli interessi.

Resta salva la facoltà del Comune di deliberare con regolamento circostanze attenuanti o esimenti nel rispetto dei principi stabiliti dalla normativa statale.

Per tutto quanto non previsto dalle predette disposizioni, si applicano le regole di cui all’articolo 1, commi da 161 a 170, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

In particolare, il predetto comma 161 dispone che: “il funzionario responsabile procede alla rettifica delle dichiarazioni infedeli o dei parziali o ritardati versamento, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui le dichiarazioni o i versamenti sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie”.

Mentre il successivo comma 162 prevede che: “gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati; se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. Gli avvisi devono contenere, altresì, l’indicazione dell’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato, del responsabile del procedimento, dell’organo o dell’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela, delle modalità, del termine e dell’organo giurisdizionale cui è possibile ricorrere, nonché il termine di sessanta giorni entro cui effettuare il relativo pagamento. Gli avvisi sono sottoscritti dal funzionario designato dall’ente locale per la gestione del tributo”.

Tuttavia, i ricordati commi 161 e 162 relativamente agli atti impositivi non precisano né la struttura, né gli elementi essenziali ed accessori. Pertanto, si ritiene necessario compiere una disamina di tutti gli elementi essenziali, previsti dalla normativa e indicati negli anni dalla giurisprudenza, che gli atti impositivi devono contenere, seppur nella libertà della forma, per evitare le illegittimità per vizi formali.

Gli elementi essenziali sono:

a)l’Ente emittente, il destinatario dell’atto e la tipologia dello stesso.

L’atto impositivo deve riportare il soggetto attivo dell’imposta ovvero l’Ente che ha emesso lo stesso, il soggetto destinatario ovvero quello al quale l’atto deve essere notificato (in tutti i casi di rappresentanza legale o negoziale, eccetto per le persone giuridiche, l’atto deve contenere la contestuale indicazione dei dati del rappresentante legale o negoziale, e ciò ad un duplice fine di consentire, nella parte irrogativa della sanzione, di infliggere direttamente la sanzione amministrativa tributaria all’autore della violazione e di permettere all’ufficiale notificatore di esperire compiutamente il procedimento notificatorio) nonché l’indicazione della tipologia dell’atto, se trattasi di un avviso di liquidazione (oggi di accertamento) sulla base della dichiarazione, di un avviso di accertamento in rettifica per infedele dichiarazione o di un avviso di accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione.

Con riferimento al nome attribuito all’atto impositivo, sono sorti dubbi circa la legittimità degli atti impositivi quando il loro contenuto sia difforme dalla denominazione attribuita agli stessi.

A tal fine il Consiglio di Stato (tra le altre, Consiglio di Stato, sentenza n. 794 del 1996(200)) ha chiarito che indipendentemente dal nome attribuito all’atto, è principio pacifico che l’atto amministrativo deve essere interpretato secondo il suo contenuto effettivo ed il potere in concreto esercitato, e non sulla base della sua veste formale.

D’altra parte l’attribuzione del nomen errato non si traduce ex se in un vizio di legittimità (Consiglio di Stato, sentenza n. 877 del 1980(201)).

Una particolare attenzione merita la notifica degli atti impositivi, in caso di decesso del contribuente, per il recupero degli importi da questi non versati quando era in vita.

In particolare, si ricorda che nel caso descritto l’atto impositivo può essere indistintamente notificato nelle seguenti due modalità:

- personalmente ai singoli eredi se noti (tra gli eredi vi è coobligazione solidale perfetta. Infatti, tutti rispondono singolarmente dell’intero debito del de cuius e il pagamento, integrale del debito, effettuato da uno di essi libera tutti gli altri; rimane fermo il diritto di rivalsa di chi ha effettuato il versamento nei confronti degli altri eredi. La coobligazione solidale, inoltre, è perfetta nel senso che il Comune può notificare l’atto anche ad uno o parte degli eredi, scelti liberamente, senza dovere dimostrare di avere preventivamente escusso gli altri eredi);

- impersonalmente a tutti gli eredi presso l’ultimo domicilio del de cuius.

Quando, però, non vi sono ancora gli eredi bensì soltanto i chiamati all’eredità, non è possibile effettuare la notifica personalmente ad ognuno di essi.

Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Corte di Cassazione, sez. trib., 25 ottobre 2010, n. 21101(202)), infatti, se il chiamato all’eredità non ha ancora accettato l’eredità non può essere considerato erede e, quindi, non risponde delle obbligazioni del de cuius; la confusione patrimoniale tra defunto ed erede, infatti, si ha soltanto a seguito dell’accettazione dell’eredità.

Il predetto principio soffre di una eccezione soltanto ai fini dell’imposta di successione; il quarto comma dell’art. 7 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, infatti, che: “fino a quando l’eredità non è stata accettata, o non è stata accettata da tutti i chiamati, l’imposta è determinata considerando come eredi i chiamati che non vi hanno rinunziato”.

Pertanto, in questo caso, il Comune deve eseguire la notifica dell’atto impositivo in maniera impersonale presso l’ultimo domicilio del de cuius e può richiedere che sia nominato un curatore dell’eredità giacente, ai sensi dell’art. 528 del codice civile, nonché che sia fissato un termine per l’accettazione o la rinunzia all’eredità, ai sensi dell’art. 481 del codice civile.

In caso di impugnazione dell’atto da parte del chiamato all’eredità, ai sensi dell’art. 476 del codice civile, l’accettazione è tacita e il soggetto che ha proposto l’impugnazione può considerarsi erede, inoltre, come disposto dall’art. 39 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, il processo viene sospeso fino a quando non viene accertato in via pregiudiziale la sua qualifica di erede.

Se, invece, il chiamato all’eredità al quale è stato notificato l’atto impositivo non lo impugna, lo stesso diventa definitivo e si procede alla riscossione coattiva nei confronti dei soggetti che, nel frattempo, hanno acquistato la qualifica di eredi.

b)La motivazione.

Gli atti impositivi hanno natura di atti amministrativi, con la duplice funzione di constatare in concreto l’esistenza dell’obbligazione tributaria e di determinarne la misura in attuazione della potestà impositiva dell’Ente.

Detta natura e detta duplice funzione mal si conciliano con la teoria espressa da una parte della dottrina, confortata da alcune pronunce giurisprudenziali, secondo la quale l’atto impositivo, avendo una mera funzione processuale di “procatio ad opponendum”, non dovrebbe necessariamente contenere la motivazione, atteso che il rapporto tributario può essere accertato in tutti i suoi elementi in sede contenziosa.

Indubbiamente la notifica dell’atto impositivo è condizione per la impugnazione dello stesso, tuttavia la sua principale funzione, quale atto amministrativo recettizio, è quella di comunicare e rendere edotto il contribuente del debito d’imposta negli elementi costitutivi dell’an e del quantum debeatur. Pertanto la motivazione dell’atto impositivo diventa un requisito essenziale dell’atto stesso, e l’Ente ha l’obbligo, attraverso la precisa esposizione della motivazione, di rendere conto dell’iter logico giuridico seguito, in guisa da porre il contribuente in grado di contraddire e difendersi in merito alla pretesa fiscale, sia in sede amministrativa che in quella giudiziaria, in attuazione degli articoli 24 e 113 della Costituzione.

Il contribuente, cioè, deve essere posto in grado di conoscere la pretesa fiscale in tutti i suoi elementi essenziali sin dall’inizio, in modo da potere compiutamente esercitare il proprio diritto alla difesa costituzionalmente garantito.

Come affermato anche dalla giurisprudenza (tra le altre, Corte di Cassazione, sez. trib., 15 novembre 2004, n. 21574(203)), infatti, l’obbligo della motivazione dell’accertamento deve ritenersi adempiuto solo ogniqualvolta il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali per potersi adeguatamente difendere.

La motivazione degli atti impositivi assume un ruolo ancora più importante in considerazione del fatto che, come sopra ricordato, se fino a qualche anno fa si rinveniva una maggiore “clemenza” da parte dei giudici tributari nei confronti degli atti impositivi emessi dai Comuni, con riferimento alla loro motivazione, negli ultimi anni si assiste ad un sempre maggiore incremento degli atti annullati in sede di contenzioso per difetto ovvero inesistenza della motivazione, soprattutto per gli accertamenti di alcune fattispecie imponibili (si pensi ad esempio alle aree edificabili) che maggiormente richiedono l’esplicitazione del procedimento accertativo adottato dal Comune.

Per scongiurare detto pericolo occorre, quindi, evitare di motivare gli atti impositivi in maniera generica o solo apparente, limitandosi, ad esempio, alla semplice e generica enunciazione delle fonti dell’accertamento.

In tal caso, infatti, la motivazione potrebbe essere giudicata inidonea a raggiungere lo scopo e, quindi, illegittima in quanto soltanto apparente, generica e mancate di riferimenti al caso concreto, tanto da poter essere indistintamente applicabile a qualunque accertamento.

L’atto impositivo deve, invece, contenere una motivazione esaustiva e riferita direttamente alla pretesa tributaria contestata, indicando “i presupposti di fatto”, ovvero la fonte attraverso la quale è stata evinta la circostanza di fatto che ha consentito l’accertamento della illegittimità commessa dal contribuente, nonché le “ragioni giuridiche” espresse dall’esplicito richiamo delle norme violate.

Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto, non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto impositivo che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.

L’attuazione di quest’ultimo obbligo non è stato sempre interpretato in maniera univoca dalla giurisprudenza. In particolare se una parte della giurisprudenza (ad esempio, Corte di Cassazione, sez. trib., 22 marzo 2005, n. 6201(204); Corte di Cassazione, sez. trib., 14 aprile 2004, n. 7080(205)) ha sostenuto che l’atto richiamato in motivazione deve essere sempre allegato anche quando il medesimo è conosciuto o è stato precedentemente notificato al contribuente; la giurisprudenza maggioritaria (tra le altre, Corte di Cassazione, sez. trib., 30 giugno 2010, n. 15470(206); Corte di Cassazione, sez. trib., 12 maggio 2010, n. 11445(207); Corte di Cassazione, sez. trib., 2 maggio 2010, n. 10797(207); Corte di Cassazione, sez. trib., 16 marzo 2005, n. 5755(208) e Corte di Cassazione, sez. trib., 24 novembre 2004, n. 22197(209)) ha, invece, affermato che l’obbligo di allegazione dei documenti all’atto impositivo disposto dall’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, riguarda necessariamente, come precisato dal decreto legislativo n. 32 del 2001 e dalla legge finanziaria 2007, atti non conosciuti e non altrimenti conoscibili dal contribuente, mentre atti generali, come le delibere consiliari, sono comunque soggetti a pubblicità legale e, quindi, la loro conoscibilità è presunta, così come non è necessario allegare le delibere tariffarie e i regolamentari in quanto, essendo atti a contenuto normativo, se ne presuppone la conoscenza legale da parte del contribuente. Inoltre le delibere non costituiscono la motivazione dell’accertamento ma ne rappresentano il presupposto giuridico, pertanto ne consegue che, anche sotto il profilo letterale, ad esse non risulta applicabile l’art. 7 della legge n. 212 del 2000 che attiene per l’appunto alla motivazione degli atti impositivi.

La stessa Corte (Corte di Cassazione, sez. trib., 23 marzo 2012, n. 4683(210)) ha anche affermato che nell’avviso di accertamento dell’ICI non è necessario menzionare la delibera di designazione del funzionario responsabile. Deve presumersi, invero, che l’esercizio della potestà impositiva avvenga nel rispetto dei presupposti di legge, incombendo sul contribuente, che intende muovere contestazioni al riguardo, l’onero di dedurre e provare l’eventuale assenza o illegittimità della delibera medesima.

Ed ancora (Corte di Cassazione, sez. trib., 10 febbraio 2012, n. 1944(211) che non comporta il difetto di motivazione la mancata allegazione all’avviso di accertamento dell’ICI della delibera di fissazione dei valori di riferimento delle aree edificabili. Infatti, l’obbligo di allegazione all’atto impositivo, o di riproduzione al suo interno, di ogni altro atto dal primo richiamato, previsto dalla legge n. 212 del 2000 – art. 7, avendo la funzione di rendere comprensibili le ragioni della decisione, riguarda i soli atti necessari per sostenere quelle ragioni intese in senso ampio e, quindi, non limitate a quelle puramente giuridiche ma comprensive anche dei presupposti di fatto. Ne deriva che sono esclusi dall’obbligo della motivazione gli atti che si rilevano irrilevanti per il raggiungimento della detta funzione e gli atti (in specie quelli a contenuto normativo, anche secondario quali le delibere o i regolamenti comunali) giuridicamente noti per effetto ed in conseguenza dell’avvenuto espletamento delle formalità di legge relative alla loro pubblicazione.

Parimenti, prima di emettere l’avviso di accertamento non vi è alcun obbligo da parte del Comune di coinvolgere il contribuente nel procedimento accertativo e sanzionatorio. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sez. trib., 8 luglio 2009, n. 16030(212)), infatti, non sussiste alcun obbligo, ma solo la facoltà e l’opportunità, di attivare il contraddittorio in un procedimento amministrativo culminante in un atto che consente al contribuente l’impugnazione e la piena tutela giurisdizionale.

Infine, con la sentenza della Corte di Cassazione, 28 febbraio 2014, n. 4826(213) è stato affermato che la cartella di pagamento successiva alla notifica degli avvisi di accertamento è valida anche se contenente una motivazione sintetica, in quanto il diritto alla difesa del contribuente è comunque tutelato dalla motivazione dettagliata degli avvisi di accertamento.

c)Il calcolo dell’imposta

La liquidazione (calcolo) dell’imposta rappresentando quella attività con cui l’Ente quantifica il debito tributario di un soggetto in relazione all’imposta ed agli accessori e considerando che la quantificazione dell’imposta si ottiene applicando le aliquote o le tariffe alla base imponibile, l’atto impositivo deve almeno contenere l’indicazione dell’imponibile, delle aliquote ed dei criteri seguiti per la determinazione della misura del tributo.

d)La liquidazione degli interessi di mora

Anche per quanto concerne la liquidazione degli interessi di mora, bisogna indicare la disciplina di riferimento ed esplicitare tutti gli elementi utilizzati nella procedura di calcolo degli stessi. In particolare si deve indicare l’importo dell’imposta o della maggiore imposta, il periodo temporale considerato e il tasso applicato per la determinazione dell’ammontare degli interessi.

e)L’irrogazione della sanzione

Per quanto concerne l’irrogazione della sanzione, ai sensi degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo n. 472 del 1997, la stessa può essere irrogata con atto separato dall’avviso di accertamento, ovvero contestualmente all’atto impositivo nel caso in cui la sanzione sia collegata al tributo (l’art. 23, comma 29, lettera b), del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha disposto che, per gli atti impositivi emessi dal 1° ottobre 2011, la sanzione collegata al tributo può essere irrogata esclusivamente ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo n. 472 del 1997).

Quest’ultima modalità (con atto contestuale) era già quasi “obbligata” in tutti i casi di rappresentanza legale o negoziale eccezion fatta, come sopra ricordato, per le persona giuridiche. Infatti, in questa ipotesi, per rispettare il principio della personalità della sanzione sancito dalla disposizione contenuta nell’art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, e per consentire anche al contribuente di pagare la sanzione inflitta al proprio rappresentante (legale o negoziale) con effetti estintivi della stessa, secondo quanto previsto dall’art. 11, comma 1, del decreto legislativo n. 472 del 1997, occorreva predisporre un unico atto con doppio destinatario (contribuente e rappresentante) e diversificare all’interno dell’atto la sola parte irrogativa della sanzione, indicando che la stessa era irrogata a carico del rappresentante legale. L’atto così congegnato andava notificato sia al contribuente sia al rappresentante (legale o negoziale), autore materiale della violazione.

L’alternativa ipotesi di contestazione della sanzione con atto separato, pertanto, rimane possibile soltanto nel caso di irrogazione di sanzioni non collegate al tributo.

Circa gli elementi da indicare nell’atto impositivo per quanto attiene alla sanzione, bisogna riportare l’individuazione della violazione commessa, le norme applicate, i criteri seguiti per la determinazione della sanzione, la sua entità, i minimi edittali previsti dalla legge per la specifica violazione. L’indicazione della persona fisica che ha commesso la violazione e i fatti attribuiti al trasgressore sono già specificati nelle parti dove sono indicati rispettivamente i destinatari dell’atto impositivo e la motivazione.

f)L’intimazione a pagare e le modalità di pagamento

L’atto impositivo deve, inoltre, contenere l’intimazione a pagare le somme liquidate entro il termine di 60 giorni dalla data di notifica dello stesso nonché le modalità di pagamento.

Nel caso di avvisi di accertamento, in rettifica e d’ufficio, si ritiene opportuno che l’atto riporti una doppia indicazione delle somme da versare, la cui funzione è quella di allocare in corrispondenza della sanzione amministrativa un diverso ammontare per l’ipotesi di adesione all’accertamento con il beneficio della riduzione della sanzione (si veda quanto riportato in seguito), chiarendone le regole disciplinanti il beneficio (l’indicazione non deve essere riportata negli avvisi di accertamento per omesso o parziale versamento, in quanto la sanzione prevista dall’art. 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 non è riducibile).

g)La sottoscrizione dell’atto

L’atto impositivo è nullo senza la sua sottoscrizione da parte del soggetto legittimato ad emetterlo; ne consegue la necessità della firma dello stesso da parte del funzionario responsabile dell’imposta.

Peraltro la firma dell’atto può essere non soltanto autografa ma anche, secondo quanto disposto dall’art. 1, comma 87, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (e dall’art. 3 del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39), apposta con l’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile del tributo quando gli atti impositivi sono prodotti da sistemi informatici. In questa ipotesi, però, va esplicitato che si è scelto questo metodo alternativo all’opposizione della firma autografa e vanno, altresì, indicati gli estremi del provvedimento dirigenziale con cui è stata adottata questa scelta.

In caso di affidamento all’esterno dell’attività di accertamento, la Suprema Corte (Corte di Cassazione, sez. trib., 13 giugno 2012, n. 9627(214)) ha affermato che è illegittimo l’avviso di accertamento automatizzato emesso dal concessionario dei tributi locali nel caso in cui il nominativo della firma "stampata" non sia stato preventivamente individuato con apposito atto sottoscritto dal concessionario, anche se il nominativo corrisponde a quello dell’amministratore della società di riscossione. Il riferimento al «nominativo del funzionario responsabile», infatti, trascura del tutto l’ipotesi che l’atto impositivo sia emesso da un concessionario, così come il riferimento a un «provvedimento di livello dirigenziale» rimanda inevitabilmente a un atto della pubblica amministrazione. Ciò non può comunque condurre alla conclusione che, nell’ipotesi di imposta gestita in concessione, non trovi applicazione la disposizione in oggetto, stante in ogni caso l’esigenza di garantire la trasparenza e la legalità dell’azione amministrativa. Deve pertanto affermarsi che, anche in caso di imposta gestita dal concessionario, la firma autografa sugli atti di accertamento prodotti da sistemi informativi automatizzati è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, purché il nominativo e la fonte dei dati risultino indicati in un apposito atto preventivamente sottoscritto dal concessionario. Solo con questo atto viene soddisfatta l’esigenza di mettere il contribuente in condizione di verificare se il nominativo indicato a stampa in calce all’atto impositivo emesso dall’impresa concessionaria corrisponda a quello della persona fisica concretamente investita della specifica responsabilità dell’emanazione degli atti impositivi. Esigenza che peraltro sussiste anche nel caso in cui il nominativo corrisponda all’amministratore della società di riscossione.

h)L’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni in riferimento all’atto nonché il responsabile del procedimento, il procedimento per l’attivazione dell’eventuale annullamento totale o parziale dell’atto in autotutela ovvero per l’impugnazione dello stesso innanzi all’organo di giustizia tributaria.

La mancata indicazione del responsabile del procedimento, pur essendo una palese violazione delle richiamate disposizioni, non comporta la illegittimità dell’atto notificato, bensì da essa, in virtù dell’art. 5, comma 2, della legge n. 241 del 1990 consegue la presunzione della responsabilità del procedimento in capo al funzionario responsabile dell’imposta.

Parimenti, l’atto che non indichi il termine entro il quale il contribuente può opporsi e l’organo al quale presentare il ricorso è comunque valido. Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Corte di Cassazione, sez. trib., 26 giugno 2009, n. 15143(215) e Corte di Cassazione, sez. trib., 22 settembre 2006, n. 20532(216)) “la mancata indicazione nell’atto amministrativo del termine di impugnazione e dell’organo dinanzi al quale può essere proposto ricorso, prevista dall’art. 3, comma 4, della legge 07 agosto 2000, n. 241, non inficia la validità dell’atto ma comporta sul piano processuale il riconoscimento della scusabilità dell’errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente, con conseguente riammissione in termini per l’impugnativa, ove questa sia stata proposta tardivamente”.

Va, peraltro, evidenziato che la giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sez. trib., 04 febbraio 2010, n. 2583(217)) ha affermato che il riferimento generico al decreto legislativo n. 546 del 1992 (“per il contenzioso si applicano le disposizioni del titolo secondo del decreto legislativo n. 546 del 1992”) non è legittimo, in quanto il Comune deve trasmettere specifiche conoscenze da condensare nella clausola d’impugnazione. L’enunciato principio, ancorché non condivisibile (come sopra ricordato, trattandosi di un provvedimento legislativo, il contenuto del decreto legislativo n. 546 del 1992 è dato per conosciuto), ci porta ad affermare che il Comune, prudenzialmente, deve riportare nell’atto impositivo almeno una sintetica descrizione delle fasi della impugnazione dell’atto innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale.

i)La relata di notifica

L’atto impositivo può essere notificato a mezzo del servizio postale con una semplice raccomandata con avviso di ricevimento secondo quanto stabilito dall’art. 1, comma 161, della legge n. 296 del 2006 (il legislatore ha previsto una modalità di notificazione semplificata), ovvero utilizzando il messo comunale, il messo “straordinario” o l’ufficiale giudiziario.

Nel primo caso, l’atto non deve contenere alcuna relata di notifica in quanto basta utilizzare il modello previsto dalle poste per la compilazione della raccomandata; nel secondo caso, invece, utilizzando la procedura di notifica prevista dagli articoli 137 e successivi del codice di procedura civile (integrata con gli artt. 58-60 del Dpr n. 600 del 1973), l’atto impositivo deve contenere anche la relata di notificazione riportante le varie forme di consegna della copia dell’atto impositivo, con l’indicazione degli altri elementi essenziali che deve contenere la relata stessa.

La legge finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi da 158 a 160) ha previsto, inoltre, la possibilità per i Comuni di nominare, con determinazione del dirigente del competente ufficio, messi “straordinari” per la notifica dei propri atti tra i propri dipendenti ovvero tra quelli del soggetto al quale sono state affidate, anche disgiuntamente, l’attività di accertamento e riscossione delle proprie entrate, nonché tra i soggetti che, per qualifica professionale, esperienza, capacità ed affidabilità, forniscono idonea garanzia del corretto svolgimento delle funzioni assegnate. In ogni caso, per essere nominati i messi devono aver partecipato ad un apposito corso di formazione, organizzato a cura del Comune, ed aver superato un esame di idoneità. I messi notificatori esercitano le proprie funzioni nel territorio del Comune che li ha nominato, sulla base della direzione e del coordinamento diretto dello stesso Comune ovvero dell’affidatario dell’attività di accertamento e riscossione. I messi notificatori non possono farsi sostituire né rappresentare da altri soggetti.

Per quanto concerne la notifica degli atti impositivi, si ricorda che la Corte Costituzionale (Corte Costituzionale, 26 novembre 2002, n. 477(218) e Corte Costituzionale, 23 gennaio 2004, n. 28(219)) ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, del combinato  disposto dell’art.149 del codice di procedura civile e dell’art. 4, comma 3, della legge 20  novembre  1982, n. 890, nella parte in cui prevedono che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.

Il principio desumibile dalla sentenza n. 477 del 2002 della Corte Costituzionale, secondo il quale la notificazione è efficace per il notificante già nel momento in cui l’atto è consegnato all’ufficiale giudiziario, si applica anche alla notificazione a mezzo del servizio postale eseguita dal difensore della parte, con l’unica differenza che alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario va in tal caso sostituita la data di spedizione del piego raccomandato (Corte di Cassazione, sez. III, 19 gennaio 2004, n. 709(220)).

A seguito dei predetti interventi della Corte Costituzionale, il legislatore ha approvato l’art. 37, comma 27, lettera f), del decreto legge 04 luglio 2006, n. 223 convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che dispone: “Qualunque notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data della spedizione; i termini che hanno inizio dalla notificazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto”.

Inoltre, sempre con riferimento alla notificazione degli atti impositivi, va osservato che nel corso degli anni è emerso un dubbio sulla possibilità di notificare più accertamenti in un unico atto.

La giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sez. trib., 12 maggio 2010, n. 11445(221)) ha chiarito che è lecito inviare in un atto unico avvisi di accertamento riguardanti diverse annualità di imposta; questo procedura non viola lo statuto dei diritti del contribuente. Ciò, in quanto, “nessuna norma vieta all’ente territoriale di comprendere in un unico documento avvisi di accertamento riguardanti più annualità d’imposta, sempre che ciascun accertamento sia effettuato in modo da non precludere o limitare la difesa del contribuente”.

Infine, va osservato che l’art. 38, comma 4, lettera b), del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha introdotto nel sistema la possibilità, da parte di Equitalia S.p.A., di notificare la cartella di pagamento utilizzando direttamente la posta elettronica certificata (PEC). La norma prevede, infatti, che: “all’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, dopo il primo comma è inserito il seguente: “La notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge. Tali elenchi sono consultabili, anche in via telematica, dagli agenti della riscossione. Non si applica l’articolo 149-bis del codice di procedura civile”.

Questa previsione rappresenta una importante innovazione (per adesso soltanto limitata alla notifica delle cartelle di pagamento ma in futuro estendibile anche agli atti impositivi dei Comuni) nel procedimento notificatorio diretto con indubbia riduzione di costi, di tempi e di contenzioso concernete i vizi di notifica.

 

La ripetibilità delle spese di notifica

Le spese di notifica degli atti impositivi sono ripetibili nei confronti del destinatario.

Con il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 12 settembre 2012 sono stati fissati i nuovi importi delle spese di notifica ripetibili. In particolare, è stato previsto che per le notifiche effettuate a partire dal 30 ottobre 2012 sono ripetibili i seguenti importi: € 5,18 per le notifiche effettuate a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento; € 8,75 per quelle effettuate ai sensi dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e dell’articolo 14 della legge 20 novembre 1982, n. 890 (il precedente decreto ministeriale dell’8 gennaio 2001 le fissava, rispettivamente, in € 3,10 ed € 5,16).

Per le notifiche eseguite all’estero, ai sensi dell’articolo 60, primo comma, lettera e-bis), quarto e quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, degli articoli 37 e 77 del decreto legislativo 3 febbraio 2011, n. 71, e dell’art. 142 del codice di procedura civile, salvo quanto diversamente previsto dalle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali, invece, l’importo delle spese ripetibili, escluse quelle relative alla traduzione degli atti, è stato fissato nella misura di € 8,35.

 

Sempre con riferimento all’attività di accertamento, si evidenzia che al fine dell’effettuazione delle verifiche sul proprio territorio, ai sensi dell’art. 1, commi da 179 a 182, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, con atto di nomina del dirigente dell’ufficio competente, il Comune può conferire i poteri di accertamento a dipendenti dello stesso Ente ovvero al personale del soggetto al quale sono state affidate, anche disgiuntamente, l’attività di accertamento e riscossione delle proprie entrate.

Per poter essere nominato, l’accertatore deve essere in possesso almeno del titolo di studio di scuola media superiore di secondo grado e deve aver superato un esame di idoneità a seguito della partecipazione ad un apposito corso di preparazione e qualificazione organizzato dallo stesso Ente.

L’accertatore, infine, non deve avere precedenti e pendenze penali, né deve essere sottoposto a misure di prevenzione disposte dall’autorità giudiziaria, ai sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e successive modificazioni o della legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni, salvi gli effetti della riabilitazione.

 

Relativamente alle sanzioni, invece, come sopra ricordato, nell’ordinamento esistono istituti che prevedono la loro riduzione. Detti istituti sono definiti “premiali” in quanto riconoscono un “premio” al contribuente consistente nel pagamento della sanzione in misura ridotta rispetto a quella prevista.

Nell’ordinamento attualmente esistono quattro istituti premiali:

- il ravvedimento operoso;

- la definizione agevolata;

- l’accertamento con adesione;

- la conciliazione giudiziale.

Il ravvedimento operoso.

Il ravvedimento operoso, disciplinato dall’art. 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997 e, quindi, applicabile direttamente ai Comuni senza necessità di prevederlo in una apposita disposizione regolamentare, consiste (come si comprende dallo stesso nome dell’istituto) nella possibilità offerta al contribuente che ha commesso una violazione di ravvedersi ovvero di “pentirsi”; naturalmente, trattandosi di un “pentimento”, lo stesso deve avvenire prima che sia contestata la violazione ovvero non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore della violazione ovvero i soggetti solidalmente obbligati abbiamo avuto formale conoscenza.

Pertanto, per potere beneficiare di detto istituto premiale, è necessario che nessuno dei coobligati solidali abbiano avuto conoscenza dell’attivazione del procedimento di accertamento, conoscenza, però, che deve essere “formale”; va da sé, quindi, che non è sufficiente la mera conoscenza che il Comune sta effettuando l’attività di accertamento di quella annualità d’imposta ma è necessario che i predetti soggetti abbiano ricevuto un atto relativo al procedimento impositivo (ad esempio, un questionario ovvero una richiesta di chiarimento in merito alla violazione che risulterebbe commessa, ecc.).

Inoltre, non basta il semplice “pentimento” ma lo stesso deve essere “operoso”. Pertanto, bisogna eliminare la violazione commessa (non è stata presentata la dichiarazione: bisogna presentarla; non è stato eseguito il versamento: bisogna farlo) ed, eventualmente, pagare contestualmente l’imposta non versata in autoliquidazione, gli interessi di mora maturati (calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno) e la sanzione, ancorché in misura ridotta.

Il perfezionamento dell’istituto, infatti, si ha con il pagamento totale di tutti i predetti importi; come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Corte di Cassazione, sez. trib., 9 giugno 2011, n. 12661(222)), infatti, il versamento parziale non perfeziona il ravvedimento operoso e, quindi, risulta applicabile la sanzione in misura piena. La stessa Corte (Corte di Cassazione, sez. VI, ordinanza 8 agosto 2012, n. 14298(223)) ha anche affermato che l’errato calcolo e versamento degli interessi non perfeziona il ravvedimento e, quindi, è applicabile la sanzione “intera” ed il recupero degli interessi non versati; a nulla rileva l’entità dell’importo non versato ed il richiamo ai principi di tutela ed affidamento della buona fede, previsti dall’articolo 10 della legge n. 212 del 2000, dimostrando che si è trattato di un mero errore di calcolo e che era palese la volontà di ricorrere al ravvedimento operoso, ciò in quanto le disposizioni dello statuto del contribuente “sono, in alcuni casi, idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie, ma non hanno rango superiore alla legge ordinaria; conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse”.

In particolare, è possibile ravvedersi nei seguenti casi:

"omessa presentazione della dichiarazione: entro novanta giorni dal termine previsto per la sua presentazione;

"omesso o parziale versamento: entro trenta giorni dal termine previsto per l’effettuazione del pagamento (ravvedimento c.d. “breve”), ovvero da trentuno a novanta giorni dal termine previsto per il versamento (ravvedimento c.c. “intermedio”), ovvero entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno d’imposta nel corso del quale è stata commessa la violazione di omesso o parziale versamento ovvero, nel caso in cui non è prevista la dichiarazione periodica (tributi comunali), entro un anno dal termine previsto per il versamento (ravvedimento c.d. “lungo”).

Come sopra ricordato, il “premio” riconosciuto al contribuente che si ravvede consiste nell’applicazione della sanzione in misura ridotta rispetto a quella prevista.

Nel corso degli anni l’entità del premio è più volte variata, in particolare:

 

VIOLAZIONI COMMESSE FINO AL 28 NOVEMBRE 2008

 

 

Entro 30 gg.

Entro il termine per la dichiarazione ovvero entro un anno

Entro 90 gg.

Omesso/parziale versamento

1/8 del minimo (1/8 del 30% pari al 3,75%)

1/5 del minimo

(1/5 del 30% pari al 6%)


Omessa dichiarazione



1/8 del minimo (1/8 del 100% pari al 12,50%)

 

VIOLAZIONI COMMESSE DAL 29 NOVEMBRE 2008 AL 31 GENNAIO 2011

 

 

Entro 30 gg.

Entro il termine per la dichiarazione ovvero entro un anno

Entro 90 gg.

Omesso/parziale versamento

1/12 del minimo (1/12 del 30% pari al 2,50%)

1/10 del minimo

(1/10 del 30% pari al 3%)


Omessa dichiarazione



1/12 del minimo (1/12 del 100% pari al 8,33%)

 

 

VIOLAZIONI COMMESSE DAL 1° FEBBRAIO 2011

 

 

Entro 30 gg.

Entro il termine per la dichiarazione ovvero entro un anno

Entro 90 gg.

Omesso/parziale versamento

1/10 del minimo (1/10 del 30% pari al 3%)

1/8 del minimo

(1/8 del 30% pari al 3,75%)


Omessa dichiarazione



1/10 del minimo (1/10 del 100% pari al 10%)

 

 

RAVVEDIMENTI DAL 1° GENNAIO 2015 AL 31 DICEMBRE 2015

 

 

Entro 30 gg.

Da 31 a 90 gg.

Entro il termine per la dichiarazione ovvero entro un anno

Entro 90 gg.

Omesso/parziale versamento

1/10 del minimo (1/10 del 30% pari al 3%)

1/9 del minimo (1/9 del 30% pari al 3,33%)

1/8 del minimo

(1/8 del 30% pari al 3,75%)


Omessa dichiarazione




1/10 del minimo (1/10 del 100% pari al 10%)

 

In caso di versamento tardivo, entro 15 giorni dalla violazione, associato al ravvedimento operoso, la riduzione della sanzione si aggiunge al beneficio del ravvedimento operoso “breve”.

 

Esempio: importo dovuto entro il 16 giugno 2015 (€ 1.000,00)

il 20 giugno 2015 il contribuente paga € 1.000,00 a titolo di tributo e non effettua il ravvedimento operoso (con il pagamento della sanzione e degli interessi legali) entro il 16 luglio 2015

la sanzione irrogabile è pari ad € 80,00 (8% di € 1.000,00 ossia 30%*4/15)

il 20 giugno 2015 il contribuente paga € 1.000,00 a titolo di tributo ed entro il 18 luglio 2015 effettua il ravvedimento operoso (con il pagamento della sanzione e degli interessi legali)

la sanzione dovuta è pari ad € 8,00 (0,8% di € 1.000,00 ossia 30%*4/15*1/10)

 

RAVVEDIMENTO OPEROSO (art.13 D.Lgs.n.472/97)

DAL 01 GENNAIO 2016

 


Entro 30 gg.

Entro il 90° giorno successivo al termine per la dichiarazione (per errori in dichiarazione) ovvero entro 90 giorni

Entro il termine per la dichiarazione ovvero entro un anno se non è prevista la dichiarazione periodica

Entro 90 gg.

Omesso/parziale versamento

1/10 del minimo (1/10 del 15% pari al 1,5%)

1/9 del minimo

(1/9 del 15% pari al 1,67%)

1/8 del minimo

(1/8 del 30% pari al 3,75%)


Omessa dichiarazione




1/10 del minimo (1/10 del 100% pari al 10%)

 

In caso di versamento tardivo, entro 15 giorni dalla violazione, associato al ravvedimento operoso, la riduzione della sanzione si aggiunge al beneficio del ravvedimento operoso “breve”.

 

Violazione contestata con atto divenuto definitivo entro il 31 dicembre 2015

Esempio: importo dovuto entro il 16 giugno 2015 (€ 1.000,00)

il 20 giugno 2015 il contribuente paga € 1.000,00 a titolo di tributo e non effettua il ravvedimento operoso (con il pagamento della sanzione e degli interessi legali) entro il 16 luglio 2015

la sanzione irrogabile è pari ad € 80,00 (8% di € 1.000,00 ossia 30%*4/15)

il 20 giugno 2015 il contribuente paga € 1.000,00 a titolo di tributo ed entro il 18 luglio 2015 effettua il ravvedimento operoso (con il pagamento della sanzione e degli interessi legali)

la sanzione dovuta è pari ad € 8,00 (0,8% di € 1.000,00 ossia 30%*4/15*1/10)

 

 

Violazione contestata con atto non divenuto definitivo entro il 31 dicembre 2015

Esempio: importo dovuto entro il 16 giugno 2015 (€ 1.000,00)

il 20 giugno 2015 il contribuente paga € 1.000,00 a titolo di tributo e non effettua il ravvedimento operoso (con il pagamento della sanzione e degli interessi legali) entro il 16 luglio 2015

la sanzione irrogabile è pari ad € 40,00 (4% di € 1.000,00 ossia 15%*4/15)

il 20 giugno 2015 il contribuente paga € 1.000,00 a titolo di tributo ed entro il 18 luglio 2015 effettua il ravvedimento operoso (con il pagamento della sanzione e degli interessi legali)

la sanzione dovuta è pari ad € 4,00 (0,4% di € 1.000,00 ossia 15%*4/15*1/10)

 

 

La definizione agevolata

La definizione agevolata, invece, è disciplinata dagli artt. 16 e 17 del decreto legislativo n. 472 del 1997, nonché, per i cc.dd. “tributi minori” dal decreto legislativo n. 507 del 1993, art. 23 (per l’imposta comunale sulla pubblicità) e art. 53 (per la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche).

Per i tributi comunali sono definibili soltanto le violazioni per omessa o infedele presentazione della dichiarazione; non sono, pertanto, definibili le violazioni per omesso o parziale versamento.

L’istituto consiste nella definizione, in forma agevolata (mediante la riduzione della misura della sanzione rispetto a quella irrogabile), della violazione commessa, a seguito della notifica dell’atto impositivo ed entro il termine previsto per la proposizione del ricorso giurisdizionale e rinunciando, nel contempo, alla proposizione dello stesso.

Gli adempimenti del contribuente consistono nel versamento, entro il predetto termine stabilito per la proposizione del ricorso, dell’eventuale tributo richiesto, degli eventuali interessi richiesti nonché della sanzione irrogata (nella misura percentuale determinata dal Comune) ancorché in misura ridotta. Il perfezionamento dell’istituto si ha con il pagamento totale di tutti i predetti importi.

 

DEFINIZIONE AGEVOLATA (artt. 16 e 17 del decreto legislativo n. 472 del 1997)

 

Atti emessi entro il 5 dicembre 2011

Atti emessi dal 6 dicembre 2011

1/4 della sanzione irrogata

1/3 della sanzione irrogata

 

Accertamento con adesione.

L’accertamento con adesione è disciplinato dagli artt. 2, 3 e 15 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.

Le predette disposizioni non sono direttamente applicabili ai tributi comunali salvo che, ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997 (si può prevedere anche che il pagamento delle somme dovute possa essere effettuato in forma rateale senza maggiorazione di interessi), il Comune non lo abbia introdotto nel proprio ordinamento con una apposita disposizione regolamentare (per quanto attiene il procedimento, il Comune può anche derogare alle disposizioni del decreto legislativo n. 218 del 1997).

A differenza di quanto previsto per il ravvedimento operoso e per la definizione agevolata, l’accertamento con adesione è applicabile soltanto nel caso in cui vi sia “materia concordabile”, ossia vi sia possibilità di accordo sull’entità del tributo dovuto (si pensi, ad esempio, alla determinazione del valore delle aree edificabili ai fini dell’imposta municipale propria). L’istituto non è applicabile, quindi, non solo in caso di omesso o parziale versamento ma anche quando si è in presenza di elementi certi e/o incontrovertibili.

Altra condizione per applicare l’istituto premiale è che il contribuente rinunci a proporre ricorso avverso l’atto impositivo.

A seguito della presentazione della domanda di accertamento con adesione, si ha la sospensione per novanta giorni del termine per la proposizione del ricorso; o meglio, il termine per la proposizione del ricorso viene differito di novanta giorni. Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sez. trib., 12 luglio 2006, n. 15812(224)), se non si raggiunge l’accordo nei novanta giorni, il termine ricomincia a decorrere non dalla data del mancato accordo bensì dalla scadenza dei novanta giorni. Ad esempio se l’atto impositivo è notificato il 2 gennaio e il contribuente presenta l’istanza di accertamento con adesione il 5 febbraio, il termine per proporre il ricorso è il 1° giugno (60 + 90 giorni) e ciò anche se il verbale di mancato accordo viene stipulato il 3 marzo (cioè prima della scadenza dei 90 giorni). I 60 giorni, cioè, ricominciano a decorrere dal compimento del novantesimo giorno dalla presentazione dell’istanza di accertamento con adesione e non dal mancato accordo.

La Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 140 del 15 aprile 2011(225), ha dichiarato manifestatamene infondata la questione di legittimità costituzionale della norma, in quanto il procedimento per l’accertamento con adesione ha la finalità di prevenire l’impugnazione dell’atto di accertamento tributario notificato, favorendo l’instaurazione di un contraddittorio con il contribuente per giungere ad una definizione concordata e preventiva della controversia. Pertanto, non appare irragionevole la previsione, a tal fine, di un periodo fisso di sospensione dei termini di impugnazione, idoneo a consentire “un proficuo esercizio del contraddittorio in sede di adesione”, durante il cui decorso il contribuente e l’ufficio hanno agio di valutare liberamente la situazione, eventualmente allacciando, sciogliendo e riannodando trattative. Né è irragionevole che la disposizione denunciata preveda che solo il contribuente possa far cessare la sospensione del termine di impugnazione proponendo ricorso avverso l’atto di accertamento – ipotesi questa equiparata dalla legge alla rinuncia all’istanza di accertamento con adesione – oppure mediante una formale ed irrevocabile rinuncia a detta istanza. Inoltre, la redazione del “verbale” – dal quale risulta che “le parti concordano nel concludere con esito negativo il presente procedimento” – si risolve in una mera presa d’atto del mancato raggiungimento dell’accordo tra il contribuente e l’ufficio tributario e, pertanto, non può né equipararsi all’impugnativa dell’atto di accertamento né assumere il significato di una definitiva rinuncia del contribuente all’istanza di accertamento con adesione. Di conseguenza, la mera constatazione, in un atto atipico, che in una certa data non sia stato ancora raggiunto l’accordo, da un lato, non impedisce che lo stesso possa essere successivamente raggiunto prima dell’instaurazione del contenzioso e, dall’altro, non esprime l’univoca volontà del contribuente di escludere, anche per il futuro, la composizione amministrativa della controversia. Pertanto, la suddetta constatazione del mancato accordo tra le parti non integra una situazione omogenea a quella di definitiva rinuncia all’istanza di accertamento con adesione, sia essa manifestata con dichiarazione espressa o mediante proposizione del ricorso.

Il procedimento di accertamento con adesione può essere avviato non soltanto su istanza di parte a seguito della notifica dell’atto impositivo, bensì anche d’ufficio e prima della notifica dello stesso.

Gli adempimenti da porre in essere consistono nel raggiungimento dell’accordo (con determinazione in contraddittorio della pretesa tributaria), nella sottoscrizione dello stesso e nel pagamento, entro venti giorni dalla data di stipula dell’atto di accertamento con adesione, del tributo e degli interessi determinato in contraddittorio nonché del minimo edittale della sanzione ancorché in misura ridotta (mentre nella definizione agevolata il premio consiste nella riduzione della sanzione nella misura irrogata, quindi anche superiore al minimo edittale; con l’accertamento con adesione viene sempre ridotta la sanzione determinata nel minimo previsto dalla legge per quella violazione risultando, pertanto, ininfluente la misura della sanzione, anche superiore al minimo, eventualmente determinata con l’atto impositivo oggetto dell’accertamento con adesione) ovvero della prima rata in caso di rateizzazione dell’importo totale concordato.

L’accertamento con adesione è valido solo in presenza di accordo sottoscritto dal funzionario responsabile del tributo e dal contribuente, a nulla rileva l’avvenuto pagamento. Ne consegue che il pagamento di quanto pattuito tra l’ufficio e il contribuente senza che, però, sia stato sottoscritto l’accordo non perfeziona l’accertamento con adesione (Corte di Cassazione, 28 giugno 2006, n. 14945(226)).

Una volta raggiunto l’accordo l’accertamento con adesione non è impugnabile né intrigabile o modificabile.

L’accertamento con adesione è «intoccabile». Una volta fissato l’importo da pagare, infatti, non possono essere impugnati dal contribuente né l’atto impositivo iniziale né l’accordo con l’Ente né l’ufficio può integrarlo o modificarlo (Corte di cassazione, sez. trib., 30 aprile 2009, n. 10086(227)).

Infine, se l’importo pattuito con l’accertamento con adesione viene pagato, non si ha diritto alla ripetizione. L’accertamento con adesione una volta definito (con il pagamento) non è più ritrattabile ed il contribuente non può presentare istanza di rimborso (Corte di cassazione, sez. trib., 6 ottobre 2010, n. 20732(228)).

 

Atti definibili emessi entro il 31 gennaio 2011

Atti definibili emessi dal 1° febbraio 2011

1/4 del minimo edittale

1/3 del minimo edittale

 

Va ricordato, infine, che l’art. 23, commi 17, 18 e 20, del decreto legge 06 luglio 2011, n. 98 convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha previsto che, in caso di dilazione dell’importo concordato in sede di accertamento con adesione, non vi è più l’obbligo della garanzia fideiussoria per i debiti superiori ad € 50.000,00 e che in caso di mancato pagamento anche di una sola rata, diversa dalla prima, entro il termine per il pagamento della rata successiva, il residuo importo viene riscosso coattivamente con aggravio della sanzione del 60% e ciò, a differenza di quanto previsto in passato, quando il residuo importo veniva riscosso coattivamente, senza una ulteriore sanzione, in caso di mancato pagamento entro trenta giorni dalla notifica di un apposito invito ad adempiere.

Le nuove disposizioni si applicano soltanto alle adesioni effettuate a partire dal 6 luglio 2011.

 

Definizione agevolata

Accertamento con adesione

Si applica direttamente

Necessità di previsione regolamentare

Si applica sempre (eccetto omesso/parziale versamento)

Si applica solo in presenza di materia concordabile

Solo dopo la notifica dell’accertamento

Anche prima della notifica dell’accertamento

Non si ridetermina il tributo

Si ridetermina il tributo

Si riduce la sanzione irrogata

Si riduce il minimo edittale

 

La conciliazione giudiziale.

Infine, la conciliazione giudiziale è prevista dall’art. 48 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e, pertanto, si applica direttamente ai tributi comunali senza necessità di una apposita disposizione regolamentare.

L’istituto si applica in presenza di un giudizio (è necessario, quindi, che il Comune abbia già notificato un atto impositivo e che lo stesso sia stato impugnato) e può avvenire solo davanti alla Commissione Tributaria Provinciale (non è ammessa la conciliazione giudiziale nel secondo grado di giudizio) e non oltre la prima udienza.

Il procedimento può essere avviato da ognuna delle parti ovvero d’ufficio.

Con l’applicazione dell’istituto, si procede alla rideterminazione del tributo, degli interessi e della sanzione irrogata.

Gli adempimenti da porre in essere consistono nel raggiungimento dell’accordo (a tre, tra Comune, contribuente e giudice) e nel pagamento, entro venti giorni dalla data di comunicazione da parte della segreteria della Commissione Tributaria adita del decreto di conciliazione giudiziale, del tributo e degli interessi determinato in contraddittorio nonché del minimo edittale della sanzione ancorché in misura ridotta (al pari di quanto detto per la definizione agevolata il premio consiste nella riduzione della sanzione nella percentuale irrogata, quindi anche superiore al minimo edittale) ovvero della prima rata in caso di rateizzazione dell’importo totale concordato.

 

Ricorsi presentati entro il 31 gennaio 2011

Ricorsi presentati dal 1° febbraio 2011

1/3 della sanzione rideterminata

40% della sanzione rideterminata

 

Va ricordato, infine, che l’art. 23, commi 19 e 20, del decreto legge 06 luglio 2011, n. 98 convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha previsto che, in caso di dilazione dell’importo concordato in sede di conciliazione giudiziale, non vi è più l’obbligo della garanzia fideiussoria per i debiti superiori ad € 50.000,00 e che in caso di mancato pagamento anche di una sola rata, diversa dalla prima, entro il termine per il pagamento della rata successiva, il residuo importo viene riscosso coattivamente con aggravio della sanzione del 60% e ciò, a differenza di quanto previsto in passato, quando il residuo importo veniva riscosso coattivamente, senza una ulteriore sanzione, in caso di mancato pagamento entro trenta giorni dalla notifica di un apposito invito ad adempiere.

Le nuove disposizioni si applicano soltanto alle conciliazioni effettuate a partire dal 6 luglio 2011.

 

Per quanto concerne gli interessi, il comma 165 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 dispone che: “la misura annua degli interessi è determinata, da ciascun ente impositore, nei limiti di tre punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse legale. Gli interessi sono calcolati con maturazione giorno per giorno con decorrenza dal giorno in cui sono divenuti esigibili. Interessi nella stessa misura spettano al contribuente per le somme ad esso dovute a decorrere dalla data dell’eseguito versamento”.

Si evidenzia che il Comune, con proprio regolamento, può pertanto discostarsi, sia in aumento sia in diminuzione, rispetto al saggio legale; tuttavia, in assenza di specifica deliberazione, si applica il tasso di interesse legale.

Inoltre, lo stesso scostamento deve essere applicato sia in ipotesi di accertamento sia in ipotesi di rimborso; in quest’ultimo caso, infine, il conteggio degli interessi decorrere comunque dal momento del versamento indebito e giammai dall’istanza di rimborso (la presentazione dell’istanza di rimborso ha la funzione di interrompere il termine decadenziale quinquennale, disposto dal comma 164 dell’art. 1 della stessa legge n. 296 del 2006, ma non rappresenta il termine iniziale per il calcolo degli interessi).

Gli interessi sono calcolati con maturazione giorno per giorno.

 

Tasso annuo d’interesse legale

Dal

Al

Tasso

Norma


Fino al 15/12/1990

5%

Art.1284, comma 1, regio decreto n.262 del 1942

16/12/1990

31/12/1996

10%

Art.1, comma 1, legge n.353 del 1990

01/01/1997

31/12/1998

5%

Art.2, comma 185, legge n.662 del 1996

01/01/1999

31/12/2000

2,5%

Decreto ministeriale

10 dicembre 1998

01/01/2001

31/12/2001

3,5%

Decreto ministeriale

11 dicembre 2000

01/01/2002

31/12/2003

3%

Decreto ministeriale

11 dicembre 2001

01/01/2004

31/12/2007

2,5%

Decreto ministeriale

01 dicembre 2003

01/01/2008

31/12/2009

3%

Decreto ministeriale

12 dicembre 2007

01/01/2010

31/12/2010

1%

Decreto ministeriale

04 dicembre 2009

01/01/2011

31/12/2011

1,5%

Decreto 07 dicembre 2010

01/01/2012

31/12/2013

2,5%

Decreto 12 dicembre 2011

01/01/2014

31/12/2014

1%

Decreto 12 dicembre 2013

01/01/2015

31/12/2015

0,5%

Decreto 11 dicembre 2014

01/01/2016

31/12/2016

0,2%

Decreto 11 dicembre 2015

01/01/2017

31/12/2017

0,1%

Decreto 7 dicembre 2016

01/01/2018

31/12/2018

0,3%

Decreto 13 dicembre 2017

01/01/2019

Ad oggi

0,8%

Decreto 12 dicembre 2018

 

Relativamente alla riscossione coattiva ai sensi del comma 163 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, a seguito del mancato o parziale pagamento dell’atto impositivo, entro il termine di sessanta giorni dalla sua notifica, consegue la riscossione coattiva degli importi non versati secondo le disposizioni vigenti. In ogni caso, il titolo esecutivo (cartella di pagamento o ingiunzione fiscale) deve essere notificato al contribuente, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello nel corso del quale l’atto impositiva è divenuto definitivo (per mancanza di impugnazione ovvero a seguito di sentenza passata in cosa giudicata).

 

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