2.4.3. la base imponibile delle aree edificabili |
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A differenza di quanto previsto per i fabbricati e per i terreni agricoli, per i quali la base imponibile è determinata con riferimento a dati certi e statici (le rendite catastali ed i redditi dominicali), nel caso delle aree edificabili non si hanno dei valori certi di riferimento e la base imponibile è rappresentata dal valore di mercato delle stesse (valore molto dinamico legato non soltanto agli aspetti edilizi del territorio comunale ma anche alla congiuntura economica nazionale ed internazionale). Per dette aree, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo n. 504 del 1992, la base imponibile è costituita dal valore venale in comune commercio, al 1° gennaio di ciascun anno d’imposta, in considerazione della zona territoriale di ubicazione, dell’indice di edificabilità, della destinazione d’uso consentita, degli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, dei prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche. Nel caso di utilizzazione edificatoria dell’area (anche se non edificabile), di demolizione di fabbricato, di interventi di recupero a norma dell’articolo 31, comma 1, lettere c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457 (oggi disciplinate dall’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380), la base imponibile è costituita dal valore dell’area, la quale è considerata comunque fabbricabile, senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera, fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato (art. 5, comma 6, del decreto legislativo n. 504 del 1992). Al momento dell’ultimazione dei lavori, invece, l’imposta va calcolata sul fabbricato anche se non è stata ancora concessa l’agibilità (oggi di competenza della parte), per il sol fatto che è stata certificata l’ultimazione del manufatto e si è provveduto al suo classamento; resta, infatti, estranea alla sfera attinente il rapporto tributario tutto quanto afferisce all’effettiva abitabilità del bene stesso (Corte di Cassazione, sez. trib., 15 aprile 2005, n. 7905(111)). Il mancato rilascio del certificato di abitabilità, infatti, non costituisce prova del mancato compimento dei lavori, in quanto può essere conseguenza della mancata richiesta, specie quando il contribuente non abbia interesse a dimostrare la tempestiva conclusione dell’opera (Corte di Cassazione, sez. trib., 07 novembre 2005, n. 21588(112)). L’iscrizione in catasto del fabbricato è sufficiente a far sorgere l’obbligo di pagare l’imposta come fabbricato benché questo non sia ultimato (Corte di Cassazione, sez. trib., 10 ottobre 2008, n. 24924(113)). Va osservato, infine, che la base imponibile per le aree edificabili può essere determinata anche in contradditorio tra l’Ufficio e il contribuente. La determinazione del valore di mercato delle aree fabbricabili è, infatti, uno dei pochi casi, in materia di imposta municipale propria, definibili con l’accertamento con adesione, previsto dal decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, se introdotto dai Comuni con la propria potestà regolamentare (la possibilità di introdurre l’istituto nell’applicazione dell’imposta municipale propria è prevista dall’art. 9, comma 5, del decreto legislativo n. 23 del 2011). Oltre all’introduzione dell’accertamento con adesione, ai fini della riduzione dell’insorgenza del contenzioso, in un primo momento, come già previsto in materia di ICI, ai sensi della lettera g) del comma 1, dell’art. 59 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, richiamato dall’art. 14 comma 6 del decreto legislativo n. 23 del 2011, il Comune poteva determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree edificabili. Detta delibera, se approvata, rappresentava soltanto una autolimitazione del potere di accertamento, nel senso che se il contribuente dichiarava almeno il valore riportato in delibera, il Comune rinunciava all’attività di controllo sostanziale in riferimento all’area dichiarata. La delibera non costituiva, invece, un vincolo per il contribuente, il quale poteva liberamente dichiarare un valore inferiore a quello riportato nella stessa, in quanto, ad esempio, nonostante il proprio terreno rientrava un una zona per la quale il Comune aveva deliberato un determinato valore, il valore venale in comune commercio (in considerazione delle peculiarità proprie del terreno) era inferiore (terreno in forte pendenza, presenza di numerose buche o di tralicci dell’ENEL sul terreno, ecc.). Nel caso in cui il contribuente dichiarava un valore inferiore a quello indicato dal Comune, la delibera non costituiva più una autolimitazione del potere di accertamento del Comune, con la conseguenza che l’Ufficio poteva: ➢ritenere congruo il valore dichiarato dal contribuente, benché più basso di quello riportato in delibera, e non provvedere all’accertamento in rettifica; ➢rettificare il valore dichiarato dal contribuente determinando il valore dell’area in considerazione delle caratteristiche proprie della stessa senza che la delibera di fissazione dei valori per zone omogenee rappresentasse un vincolo; il funzionario responsabile poteva, cioè, accertare un valore compreso tra quello dichiarato dal contribuente e quello riportato in delibera ovvero un valore anche superiore a quello indicato in delibera. In tutti i casi, comunque, l’Ufficio doveva avere cura di motivare la rettifica operata non con il semplice richiamo alla delibera comunale ma con riferimento agli elementi riportati nel comma 5 dell’art. 5 del decreto legislativo n. 504 del 1992. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sez. trib., 03 dicembre 2010, n. 24573(114)), i valori indicati nella delibera comunale, rappresentando una mera autolimitazione al potere di accertamento del Comune, possono essere disattesi dal giudice in caso di prova contraria da parte del contribuente ovvero con autonoma perizia disposta dallo stesso giudice. La deliberazione dei valori periodici delle aree edificabili rappresenta una presunzione suscettibile di prova contraria, sostanzialmente assimilabili agli “studi di settore”, nel senso che si tratta di fonti di presunzioni dedotte da dati di comune esperienza idonei a costituire supporti razionali offerti dall’ente impositore ed al giudice, contrastabili con idonee prove contrarie da parte dei contribuenti interessati (Corte di cassazione, sez. trib., 27 luglio 2007, n. 16700(115)). I valori indicati nella delibera comunale possono esplicare effetti anche al fine di provvedere all’accertamento delle imposte non versate per le annualità precedenti a quella nel corso della quale è stata approvata, in quanto si tratta di semplici indicatori simili al redditometro (tra le altre, Corte di Cassazione, 03 maggio 2005, n. 9135(116); Corte di Cassazione, sez. trib., 10 giugno 2005, n. 12345(117); Corte di Cassazione, sez. trib., 27 luglio 2007, n. 16702(118); Corte di Cassazione, sez. trib., 27 novembre 2009, n. 24959(119) e Corte di Cassazione, sez. trib., 30 giugno 2010, n. 15461(120)), senza che ciò significhi una applicazione retroattiva di una disposizione regolamentare, in quanto trattasi di meri supporti valutativi per l’amministrazione e il giudice (Corte di Cassazione, sez. trib., 14 ottobre 2009, n. 21764(121)). Vi è da ricordare che la stessa giurisprudenza (Corte di Cassazione, sez. trib., 08 ottobre 2010, n. 20872(122)) ha affermato che in caso di mancata approvazione (ancorché l’approvazione da parte del Comune non è obbligatoria) della delibera comunale che stabilisce i valori di riferimento delle aree edificabili per zone omogenee, alla rettifica del valore dichiarato dal contribuente non è possibile applicare la sanzione in quanto manca la volontarietà e la colpevolezza della condotta prevista dall’art. 5 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Circa la competenza ad adottare la deliberazione, la Corte di Cassazione, sez. trib., con l’ordinanza 25 luglio 2012, n. 13105(123) ha chiarito che solo la delibera del Consiglio Comunale può autolimitare l’esercizio del potere di accertamento “tale potere di accertamento non può, infatti, essere esercitato, e se esercitato i relativi atti sono affetti da illegittimità, ove siano stati fissati i valori medi che possono essere utilizzati dai contribuenti nella dichiarazione ICI ed a tali valori i contribuenti si siano attenuti nella autoliquidazione della imposta”, mentre quella di Giunta Comunale può rappresentare una mera direttiva interna tesa ad uniformare ovvero indirizzare l’attività di accertamento degli uffici. Come più volte ricordato, però, l’art. 4, comma 1, del decreto legge n. 16 del 2012 ha eliminato dal comma 6 dell’art. 14 del decreto legislativo n. 23 del 2011 il riferimento all’art. 59 del decreto legislativo n. 446 del 1997. Ciò nonostante, si ritiene che il Comune, ai fini della riduzione dell’insorgenza del contenzioso, possa comunque stabilire i valori di riferimento delle aree edificabili utilizzando la propria potestà regolamentare prevista dall’art. 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997. Ciò in quanto la disposizione in oggetto non incide sulla determinazione della base imponibile e, quindi, sulla quota di gettito riservata allo Stato prevista dal comma 11 dell’art. 13 del decreto legge n. 201 del 2011, bensì soltanto sull’attività di controllo sostanziale riservato per legge al Comune.
Imu, costruzione su lastrico solare: non è area fabbricabile Durante i lavori di realizzazione di una costruzione sul lastrico solare non si realizza il presupposto per l’applicazione dell’imposta come area edificabile. A chiarirlo è stato il Ministero dell’economia e delle finanze con la risoluzione n. 8/DF dello scorso 22 luglio 2013. In particolare, nel rispondere ad un quesito con il quale si richiedeva se durante i lavori di realizzazione di un impianto fotovoltaico su un lastrico solare, quest’ultimo dovesse essere considerato area edificabile, il Ministero afferma che si realizza la fattispecie dell’area edificabile soltanto in assenza di unità immobiliari presenti sulla stessa particella catastale. Pertanto, se sulla particella catastale sono già state accatastate unità immobiliari, le eventuali ulteriori unità costruite saranno accatastate come fabbricati al momento dell’ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se precedente, al momento del loro utilizzo ma non sconteranno l’imposta come area edificabile durante il periodo della costruzione. Nello specifico i lastrici solari, sia di edifici privati sia si edifici pubblici, sono parte integrante dell’edificio esistente e, in quanto tali, concorrono alla determinazione complessiva delle rendite catastali delle unità immobiliari facenti parte dell’edificio stesso e come previsto nell’Allegato tecnico II alla circolare n. 6/T del 30 novembre 2012 dell’Agenzia del Territorio, in cui vengono fornite istruzioni per la determinazione della rendita catastale, ai fini della valutazione del lotto “occorre tenere conto delle sole potenzialità edificatorie già espresse attraverso l’attuata edificazione, e non di quelle previste dagli strumenti urbanistici in vigore, atteso che la stima catastale riguarda l’uso attuale del bene (existing use) e non già l’uso fisicamente possibile e legalmente ammissibile, caratterizzato dalla massima produttività (highest and best use)”. Ad avvalorare la propria interpretazione, il Ministero richiama la recente sentenza della Suprema Corte (Corte di Cassazione, sez. trib., 8 maggio 2013, n. 10735) che, nel confermare l’orientamento già dalla stessa precedentemente espresso con le sentenze nn. 23347 del 2004 e 22808 del 2006, afferma che: “la nozione di fabbricato, di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, rispetto all’area su cui esso insiste, è unitaria, nel senso che, una volta che l’area edificabile sia comunque utilizzata, il valore della base imponibile ai fini dell’imposta si trasferisce dall’area stessa all’intera costruzione realizzata” e che “per la determinazione della base imponibile di un appartamento in costruzione al primo piano dell’edificio, quindi, non trova applicazione il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 6, che disciplina l’utilizzazione edificatoria dell’area (individuando come base imponibile il valore dell’area stessa), […] di tal che, nella specie, non essendosi realizzato alcuno dei due presupposti, il comune non poteva assoggettare ad ICI l’area su cui si sviluppava la cubatura in relazione alla quale era stata conseguita la concessione edilizia per l’appartamento al primo piano, non essendovi altra area fabbricabile che quella su cui insisteva l’appartamento a suo tempo realizzato al piano terreno”. Il richiamato orientamento giurisprudenziale ancorché riferito all’Ici è applicabile anche all’Imu per effetto dello specifico rinvio, effettuato dal comma 3 dell’art. 13 del decreto legge n. 201 del 2011, ai criteri di determinazione della base imponibile. |