2.3.14. la soggettività passiva in casi di espropriazione e sequestro giudiziario

   

L’espropriazione è il procedimento con il quale la Pubblica Amministrazione sottrae coattivamente un bene ad un soggetto privato dietro pagamento di un apprezzabile indennizzo.

In alcuni casi, prima dell’emissione del provvedimento finale (decreto di esproprio) la Pubblica Amministrazione, al fine di realizzare un’opera di pubblica utilità, occupa d’urgenza il bene da espropriare.

Durante il procedimento di esproprio, soggetto passivo rimane il proprietario espropriato fino a quando non viene emesso il provvedimento di esproprio.

Questo principio enunciato dalla Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, sez. I, 09 febbraio 2000, n. 1430(49)) si basa sul presupposto che soltanto il decreto di esproprio trasferisce la proprietà del bene dall’espropriato alla Pubblica Amministrazione; è solo il decreto di esproprio, infatti, che dà diritto alla trascrizione della vendita (art. 586 del codice di procedura civile).

La tesi è stata confermata dalla Corte di Cassazione, sez. I, 20 maggio 2005, n.10686(50) che ha affermato che il proprietario di un bene soggetto ad occupazione d’urgenza da parte di una pubblica autorità resta soggetto passivo, in quanto l’occupazione non ne comporta la perdita del possesso (l’espropriato percepisce un’apposita indennità per l’occupazione) ma soltanto la privazione della detenzione del bene (orientamento confermato dalla Corte di Cassazione, sez. I, 12 ottobre 2007, n. 21433(58), dalla Corte di Cassazione, sez. I, 3 gennaio 2008, n. 19(59) e dalla Corte di Cassazione, sez. V., 26 febbraio 2010, n. 4753(60)).

Sulla base di questo orientamento, quindi, anche nel caso in cui il decreto di esproprio sia preceduto dall’occupazione d’urgenza, con la sottrazione materiale del bene dalla disponibilità del proprietario (con la realizzazione sullo stesso anche di un’opera pubblica), la soggettività passiva rimane in capo all’espropriato fino all’emanazione del decreto di esproprio.

Successivamente, però, la stessa Suprema Corte (Corte di Cassazione, sez. trib., 20 marzo 2015, n. 5626(61)), esaminando un caso di occupazione d’urgenza di un terreno, ha affermato che, pur conoscendo i precedenti orientamenti dalla Corte, tuttavia nel caso in cui, a seguito dell’immissione in possesso da parte della pubblica amministrazione, il proprietario del terreno perde la disponibilità dell’area, con l’irreversibile trasformazione del fondo, a seguito della realizzazione dell’opera pubblica, si verifica lo spossessamento del bene (e si perde, quindi, la soggettività passiva) a favore della pubblica amministrazione non solo sotto il profilo materiale, ma anche sotto il profilo dell’animus in quanto in tema di conservazione del possesso o della detenzione “solo animo”, è necessario che il possessore (o il detentore) abbia la possibilità di ripristinare il contatto materiale con la cosa quando lo voglia, con la conseguenza che qualora tale possibilità sia di fatto preclusa da altri o da una obiettiva situazione dei luoghi, il solo elemento intenzionale non è sufficiente per la conservazione del possesso (o della detenzione).

Diverso dall’esproprio è il sequestro giudiziario (art. 670 e seguenti del codice di procedura civile) autorizzato dal giudice sui beni mobili o immobili, sulle aziende o sulle altre universalità di beni, quando ne è controversa la proprietà o il possesso ed è opportuno provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea attraverso la nomina di un custode.

Soggetto passivo rimane il proprietario non potendosi rinvenire una costituzione di un diritto reale di godimento in capo al custode al quale competono soltanto gli obblighi e i diritti previsti degli articoli 521, 522 e 560 del codice di procedura civile.

Come chiarito dall’Amministrazione Finanziaria (circolare 24 novembre 1976, n. 18(51)), infatti, la funzione del custode giudiziario, a tutela degli interessi dei creditori, è soltanto quella di evitare che il bene pignorato o sequestrato deperisca ovvero diminuisca la sua efficienza produttiva o il suo valore.

Un caso particolare attiene al sequestro e successiva confisca (ai sensi dell’art. 2ter della legge 31 maggio 1965, n. 575, la confisca deve essere emanata entro un anno dall’avvenuto sequestro; detto termine può essere prorogato di un ulteriore anno con decreto motivato del tribunale) dei beni ricondotti alla criminalità organizzata.

In questo caso, a seguito del sequestro il titolare del diritto reale di godimento sul bene non perde la soggettività passiva che passa, invece, allo Stato dopo la confisca; con quest’ultima, infatti, ai sensi dell’art. 2novies della legge 31 maggio 1965, n. 575 la proprietà del bene si trasferisce allo Stato.

Tuttavia, si ricorda che, ai sensi del comma 3bis dell’art. 51 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (introdotto dall’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228), per l’anno d’imposta 2013, durante la vigenza dei provvedimenti di sequestro e confisca, e comunque fino alla loro assegnazione o destinazione, gli immobili sono esenti dall’Imu. In ipotesi di revoca della confisca, l’amministratore giudiziario ne dà comunicazione al Comune che provvede alla liquidazione delle imposte, dovute per il periodo di durata dell’amministrazione giudiziaria, in capo al soggetto cui i beni sono stati restituiti.

La predetta disposizione è stata modificata, a partire dall’annualità d’imposta 2014, dall’art. 32 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, non prevedendo più l’esenzione bensì la sospensione del versamento.

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