2.6.4. I fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto

   

La lettera d) del comma 1 dell’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992 (richiamata per l’imposta municipale propria dal secondo periodo del comma 8 dell’art. 9 del decreto legge n. 201 del 2011) dispone l’esenzione dal pagamento dell’imposta per i fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto, purché compatibile con le disposizioni degli artt. 8 e 19 della Costituzione, e le loro pertinenze.

Rientrano tra questi gli immobili destinati ad attività di oratorio e similari dalle parrocchie e dagli enti ecclesiastici della Chiesa cattolica, nonché dagli enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato un’intesa ai sensi dell’art. 8, terzo comma, della Costituzione, in quanto opere di urbanizzazione secondaria quali pertinenze degli edifici di culto (art. 2 della legge 01 agosto 2003, n. 206).

Ricompresi nell’esenzione sono anche gli appartamenti destinati ad abitazione del parroco anche se il soggetto che svolge le funzioni di parroco temporaneamente non risiede nella casa parrocchiale (Corte di Cassazione, sez. trib., 17 ottobre 2005, n. 20033(137) e Risoluzione 3 marzo 2004, n. 1/DPF(138)).

Ugualmente i palazzi vescovili godono dell’esenzione in oggetto anche se ivi vengono trattati gli affari amministrativi e giudiziari della diocesi; perché sia esclusa l’esenzione è necessario che nei locali venga svolta un’attività commerciale. Il fatto che il vescovo “abiti” nel palazzo vescovile, non trasforma in “abitazione privata” del vescovo l’immobile in questione, che rimane la sede istituzionale del vescovo stesso, il quale vi abita proprio per l’esercizio della sua funzione e della sua missione, anche in adempimento dell’obbligo della residenza personale nella diocesi impostogli dal canone 395 del codice di diritto canonico. Il fatto che nel palazzo vescovile si trattino gli “affari amministrativi e giudiziari della diocesi” costituisce il normale esercizio della potestà di governo della diocesi, attribuita al vescovo, che è “attività strettamente religiosa”, in quanto espressione della potestas iurisdictionis di un ente che fa parte della costituzione gerarchica della Chiesa (Corte di Cassazione, sez. trib., 23 marzo 2005, n. 6316(139)).

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